giovedì 21 novembre 2013

Libro del mese: I MASNADIERI

Portavoce di un’appassionata invettiva contro il suo secolo, la sua decadenza morale, civile, religiosa e sociale, Karl incarna una declinazione pericolosa dell’io titanico dello Sturm und Drang: scegliendo di diventare capo di una banda di masnadieri, Karl si propone come il paladino di una presunta giustizia che agisce però fuori dalla legge: come ha scritto Hegel nella sua Esteticaoffeso dall’ordine esistente e dagli uomini che abusano della potenza di esso” Karl esce dall’ambito della legalità “si fa restauratore del diritto ed autonomo vendicatore del torto, dell’iniquità e dell’oppressione. Ma questa vendetta privata può condurre solo al delitto, in quanto racchiude in sé il torto che vuole distruggere”.
Titanica è anche la figura del fratello Franz che ordisce il diabolico piano di sciogliere i legami più stretti, quelli familiari. La sua malvagità è però diversa da quella del fratello idealista e giustiziere in un mondo corrotto; Franz è un tiranno senza scrupoli che mira unicamente all’autoaffermazione e per questo progetta cinicamente di eliminare dalla sua strada sia il padre sia il fratello. Nel modo in cui l’autore indaga i meccanismi della psiche e della mente di Franz si rivela non solo l’abile drammaturgo, ma anche il medico Frirdrich Schiller, convinto dell’esistenza di un inscindibilenesso tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo, tema della sua tesi di laurea. Franz progetta con lucida e gelida razionalità di eliminare il padre Maximilian con la forza devastante delle emozioni, esercitando una violenza fatta di sadismo psicologico e di tortura sentimentale. Anche Franz, secondo il quale “i limiti delle nostre forze sono le nostre leggi”, dovrà però affrontare la sua tragedia: quel Dio da lui sempre negato a favore di un nihilismo radicale che trova nella sete di potere l’unica ragione dell’esistenza (“voglio distruggere tutto ciò che mi impedisce di essere il padrone”) diventerà oggetto di una riflessione carica di angoscia di fronte alla morte. In un addolorato sfogo, Franz si chiederà “se ci sia un occhio al di là delle stelle”: il grande interrogativo che egli si pone sulle ragioni della sofferenza umana resta senza risposta, ma ciò nonostante il titano ormai disperato si consegna a quel Dio ignorato, e che però ora teme, con un accorato “Abbi pietà di me”.
I masnadieri sono la tragedia del titano presuntuoso e arrogante che vuole vivere senza la legge e senza Dio, al quale si sostituisce in un delirio di onnipotenza; tale figura, che ricorda il Prometeo goethiano, non riesce però a portare a termine la sua missione e fallisce tragicamente; il genio stürmeriano prende coscienza dell’impossibilità di una libertà intesa come un’esistenza condotta fuori dalla legalità, dal rispetto dell’uomo e della sua dignità; ma l’opera mostra anche il pericolo di una razionalità che, sganciata da valori etici e religiosi, può divenire strumento di sterminio; in questo modo Schiller mostra quanto sia illusorio il nesso fra amore e ragione su cui si era basato l’ottimismo illuminista. La riflessione sulla costruzione di un umanesimo che nasca da ideali di verità, bellezza e giustizia fu alla base del sodalizio artistico che più di dieci anni dopo il successo de I masnadieri si sarebbe instaurato a Weimar tra Friedrich Schiller e Johann Wolfgang von Goethe. Su questo sfondo Schiller non venne mai meno al convincimento che il teatro debba svolgere il ruolo di istituzione morale. Significativo è che fin dalla prefazione de I Masnadieri, il giovane drammaturgo si augura che il suo pubblico: ”non ammiri il poeta, ma stimi in me l’uomo giusto”.

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