Mai come oggi bisogna
parlare di mercato de lavoro e ammortizzatori sociali, in relazione
alle politiche attive e passive del governo nazionale e regionale.
Molti immaginano il
mercato del lavoro come un luogo fisico dove chi chiede lavoro è
immediatamente messo in contatto con chi lo offre, di fatto così
non è, per entrare nel fatidico mondo del lavoro oggi le strade
sono solo quelle della conoscenza e dell’appartenenza a gruppi di
potere politico o sociale, meritocrazia e capacità professionali
sono, sicuramente, carte da giocarsi o fuori dai confini nazionali,
quindi nei paesi esteri o delle regioni del nord Italia. Molti dei
nostri giovani più capaci sono costretti dopo il percorso
universitario ad emigrare, nel peggiore dei casi, o rimanere nelle
sedi universitarie.
La scelta per rimanere è
il continuo compromesso in una Regione dove le poche occasioni di
lavoro sono riservate a una cerchia ristretta dell’ establishment,
mentre il resto rimane fuori perché non accetta compromessi e
vorrebbe essere valutato per quello che vale.
Spesso le anomalie di
questa realtà è attribuito ad un mercato del lavoro troppo rigido,
infatti un importante studio , sul mercato del lavoro, fatto
dall OCSE in Europa nella metà degli anni novanta e
commissionato G-7, emerse che i mercati del lavoro erano troppo
rigidi, tanto da definirli sclerotici, concludendo che rendendo più
flessibile il mercato si poteva avere una maggiore occupazione.
Conclusione, ovviamente,
sbagliata; un’ampia letteratura economica e del regime di
protezione del lavoro ha dimostrato che il mercato del lavoro e
un insieme di eterogeneo di norme che vanno dal licenziamento
collettivo a quello individuale, ai variegati contratti che sono da
quelli a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato , quelli
atipici, ecc., il ruolo della magistratura, grado di coinvolgimento
della giustizia civile nello stabilire se il licenziamento è
avvenuto per giusta causa o giustificato motivo. Con una marea di
specificità che a volte sono ignorate, anche dalla politica con
convinzioni sbagliate.
Intervenire su questi
temi in maniera estemporanea senza una complessiva riforma del
mercato del lavoro è profondamente sbagliato ed inevitabilmente non
darà gli effetti sperati di un aumento dell’occupazione
La stessa riforma Fornero
voleva ridurre il reintegro dei lavoratori. Bisogna dire che non si
fa una riforma del mercato del lavoro in piena crisi in cui si cerca
di scaricare di fatto i costi sui lavoratori, non ha cambiato il
ruolo delle corti di giustizia e non ha inciso in modo significativo
nel cambiare il mercato del lavoro. E la bocciatura arriva dagli
stessi imprenditori. A un anno di distanza, la legge che porta la
firma del ministro Fornero, non è riuscita ad incrementare
l’occupazione e neanche a sciogliere i lacci che imbrigliano il
mercato del lavoro. Lo studio di verifica alla legge è stato fatto
da:” Gi. Group Academy”, intervistando 351 imprese per oltre 80
mila occupati. Il risultato è che sono già svaniti gli effetti
immediati della riforma ( rilevati a sei mesi) che avevano visto
scendere i contratti a progetto(-20 per cento) in favore a quelli a
tempo determinato e degli apprendisti .L’impatto della
flessibilità in entrata , introdotta dalla Fornero, è giudicato
negativamente dal 40 per cento degli imprenditori e nullo dal 43 per
cento.
Il regime di protezione
dell’impiego, secondo una letteratura consolidata, non ha effetto
significativo sui livelli occupazionali, ma solo sui flussi in
entrata ed uscita ,il perché è abbastanza intuitivo, quando è
difficile licenziare gli imprenditori, anche, in regimi di crisi
tenderanno a mantenere i lavoratori più di quei regimi che è meno
oneroso licenziare.
L’altro aspetto da
considerare è, quando diventa più costoso e difficile licenziare
gli imprenditori assumeranno meno, anche in periodi di espansione
perché tengono conto dei cicli economici , invece il mercato degli
Sati uniti ha una maggiore flessibilità in uscita ed alcuni
ritengono che nei periodi di espansione assumeranno di più, le
fluttuazioni saranno minori in regimi rigidi e maggiori in quelli
flessibili e quindi i livelli occupazionali nei due mercati non
avranno significative differenze, sconfessando l’OCSE.
Il mercato del lavoro è
uno dei temi centrali di ogni paese è strettamente connesso al
problema della disoccupazione. Il termine più ampio della
disoccupazione significa chi non ha lavoro, però tra gli economisti
non si tiene conto tra l’operaio che ha perso il lavoro perché la
sua azienda ha trasferito le lavorazioni all’estero e l’impiegato
con contratto a tempo indeterminato il quale è disoccupato per un
periodo limitato.
Secondo gli economisti
classici il tasso di disoccupazione influenza il livello salariale ,
quando la disoccupazione è alta i salari diminuiscono e viceversa,
inoltre ha una stretta correlazione con il livello dei prezzi,(
studiata nella curva di PHILLIPS) nel caso di disoccupazione alta i
prezzi diminuiscono e viceversa , questa curva è stata diversamente
interpretata a secondo della corrente di pensiero, gli economisti
neo-classici un tasso di disoccupazione è tollerabile anche in fase
di espansione economica, mentre i Keynesiani affermano che è
possibile regolare il flusso degli occupati intervenendo sui fattori
macroeconomici attraverso mirati investimenti statali.
La crisi che stiamo
vivendo ha messo in luce che gli ammortizzatori sociali ( definiti
dagli economisti stabilizzatori sociali) hanno dato un reddito a
solo il 20 per cento di chi ha perso il lavoro, facendo diminuire
il reddito delle famiglia del 7 per cento , mentre per i paesi con un
sistema di ammortizzatori sociali più efficiente e con una crisi
altrettanto forte come l’Irlanda, si è avuto un aumento del
reddito dell’11 per cento. Da ciò si evince il ruolo importante
di un sistema di protezione dei lavoratori, perché questo mette i
lavoratori nelle condizioni di avere il tempo di trovare un nuovo
impiego. I sussidi di disoccupazione danno legittime preoccupazioni
, tanto da essere definito “ un problema di azzardo morale” in
quanto possono creare una schiera di soggetti che aspettano solo il
sussidio, però ci sono dei correttivi che vanno dal controllo alla
diminuzione nel tempo dell’importo dl sussidio. Purtroppo in una
recessione è veramente difficile trovare lavoro e quindi bisogna
sussidiare che ha perso il lavoro e considerare trascurabile alcuni
comportamenti opportunistici dei lavoratori.
Da qui le politiche
attive del lavoro contrapposte a quelle passive, quelle attive
favoriscono la domanda e l’offerta di lavoro. Un grande economista
Inglese , WILLIMS BEVERIGD che gli valse il titolo di lord, nel 1942
dimostrò che il mercato del lavoro, anche, in periodi di recessione
non ha la capacità di coprire tutti i posti vacanti, questo deriva
da una serie di motivazione che vanno dalla mancanza di qualifiche
professionali all’incapacità degli attori di incontrarsi, alla
distanza geografica di chi offre un determinato lavoro e chi lo
cerca. Oggi qualcuno obbietterà che con la rete questo viene
risolto, invece non è così, possiamo avere portali pieni di
curriculum, ma questo non basta, perchè chi assume ha bisogno di
conoscere il candidato, altri pensano di avere le qualità di quel
lavoro invece non c’è l’hanno. Beverigd dimostrò che nonostante
la mancanza del lavoro ci saranno posti che non saranno mai occupati.
Però, sarebbe possibile se la scuola le università siano in piena
simbiosi con il mondo del lavoro tanto da creare le professionalità
che servono al mercato del lavoro. Le Università , invece, non
possono essere tutte centri di eccellenza della ricerca, questo è
possibile solo per i grandi atenei, mentre i piccoli dovrebbero
formare con le facoltà triennali figure immediatamente spendibile
nel mondo del lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento