lunedì 30 settembre 2013

Il mercato del lavoro non è un “luogo fisico”. di Domenico Palma - segretario Generale Feneal Uil Potenza

Mai come oggi bisogna parlare di mercato de lavoro e ammortizzatori sociali, in relazione alle politiche attive e passive del governo nazionale e regionale.
Molti immaginano il mercato del lavoro come un luogo fisico dove chi chiede lavoro è immediatamente messo in contatto con chi lo offre, di fatto così non è, per entrare nel fatidico mondo del lavoro oggi le strade sono solo quelle della conoscenza e dell’appartenenza a gruppi di potere politico o sociale, meritocrazia e capacità professionali sono, sicuramente, carte da giocarsi o fuori dai confini nazionali, quindi nei paesi esteri o delle regioni del nord Italia. Molti dei nostri giovani più capaci sono costretti dopo il percorso universitario ad emigrare, nel peggiore dei casi, o rimanere nelle sedi universitarie.

La scelta per rimanere è il continuo compromesso in una Regione dove le poche occasioni di lavoro sono riservate a una cerchia ristretta dell’ establishment, mentre il resto rimane fuori perché non accetta compromessi e vorrebbe essere valutato per quello che vale.
Spesso le anomalie di questa realtà è attribuito ad un mercato del lavoro troppo rigido, infatti un importante studio , sul mercato del lavoro, fatto dall OCSE in Europa nella metà degli anni novanta e commissionato G-7, emerse che i mercati del lavoro erano troppo rigidi, tanto da definirli sclerotici, concludendo che rendendo più flessibile il mercato si poteva avere una maggiore occupazione.
Conclusione, ovviamente, sbagliata; un’ampia letteratura economica e del regime di protezione del lavoro ha dimostrato che il mercato del lavoro e un insieme di eterogeneo di norme che vanno dal licenziamento collettivo a quello individuale, ai variegati contratti che sono da quelli a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato , quelli atipici, ecc., il ruolo della magistratura, grado di coinvolgimento della giustizia civile nello stabilire se il licenziamento è avvenuto per giusta causa o giustificato motivo. Con una marea di specificità che a volte sono ignorate, anche dalla politica con convinzioni sbagliate.
Intervenire su questi temi in maniera estemporanea senza una complessiva riforma del mercato del lavoro è profondamente sbagliato ed inevitabilmente non darà gli effetti sperati di un aumento dell’occupazione
La stessa riforma Fornero voleva ridurre il reintegro dei lavoratori. Bisogna dire che non si fa una riforma del mercato del lavoro in piena crisi in cui si cerca di scaricare di fatto i costi sui lavoratori, non ha cambiato il ruolo delle corti di giustizia e non ha inciso in modo significativo nel cambiare il mercato del lavoro. E la bocciatura arriva dagli stessi imprenditori. A un anno di distanza, la legge che porta la firma del ministro Fornero, non è riuscita ad incrementare l’occupazione e neanche a sciogliere i lacci che imbrigliano il mercato del lavoro. Lo studio di verifica alla legge è stato fatto da:” Gi. Group Academy”, intervistando 351 imprese per oltre 80 mila occupati. Il risultato è che sono già svaniti gli effetti immediati della riforma ( rilevati a sei mesi) che avevano visto scendere i contratti a progetto(-20 per cento) in favore a quelli a tempo determinato e degli apprendisti .L’impatto della flessibilità in entrata , introdotta dalla Fornero, è giudicato negativamente dal 40 per cento degli imprenditori e nullo dal 43 per cento.
Il regime di protezione dell’impiego, secondo una letteratura consolidata, non ha effetto significativo sui livelli occupazionali, ma solo sui flussi in entrata ed uscita ,il perché è abbastanza intuitivo, quando è difficile licenziare gli imprenditori, anche, in regimi di crisi tenderanno a mantenere i lavoratori più di quei regimi che è meno oneroso licenziare.
L’altro aspetto da considerare è, quando diventa più costoso e difficile licenziare gli imprenditori assumeranno meno, anche in periodi di espansione perché tengono conto dei cicli economici , invece il mercato degli Sati uniti ha una maggiore flessibilità in uscita ed alcuni ritengono che nei periodi di espansione assumeranno di più, le fluttuazioni saranno minori in regimi rigidi e maggiori in quelli flessibili e quindi i livelli occupazionali nei due mercati non avranno significative differenze, sconfessando l’OCSE.
Il mercato del lavoro è uno dei temi centrali di ogni paese è strettamente connesso al problema della disoccupazione. Il termine più ampio della disoccupazione significa chi non ha lavoro, però tra gli economisti non si tiene conto tra l’operaio che ha perso il lavoro perché la sua azienda ha trasferito le lavorazioni all’estero e l’impiegato con contratto a tempo indeterminato il quale è disoccupato per un periodo limitato.
Secondo gli economisti classici il tasso di disoccupazione influenza il livello salariale , quando la disoccupazione è alta i salari diminuiscono e viceversa, inoltre ha una stretta correlazione con il livello dei prezzi,( studiata nella curva di PHILLIPS) nel caso di disoccupazione alta i prezzi diminuiscono e viceversa , questa curva è stata diversamente interpretata a secondo della corrente di pensiero, gli economisti neo-classici un tasso di disoccupazione è tollerabile anche in fase di espansione economica, mentre i Keynesiani affermano che è possibile regolare il flusso degli occupati intervenendo sui fattori macroeconomici attraverso mirati investimenti statali.
La crisi che stiamo vivendo ha messo in luce che gli ammortizzatori sociali ( definiti dagli economisti stabilizzatori sociali) hanno dato un reddito a solo il 20 per cento di chi ha perso il lavoro, facendo diminuire il reddito delle famiglia del 7 per cento , mentre per i paesi con un sistema di ammortizzatori sociali più efficiente e con una crisi altrettanto forte come l’Irlanda, si è avuto un aumento del reddito dell’11 per cento. Da ciò si evince il ruolo importante di un sistema di protezione dei lavoratori, perché questo mette i lavoratori nelle condizioni di avere il tempo di trovare un nuovo impiego. I sussidi di disoccupazione danno legittime preoccupazioni , tanto da essere definito “ un problema di azzardo morale” in quanto possono creare una schiera di soggetti che aspettano solo il sussidio, però ci sono dei correttivi che vanno dal controllo alla diminuzione nel tempo dell’importo dl sussidio. Purtroppo in una recessione è veramente difficile trovare lavoro e quindi bisogna sussidiare che ha perso il lavoro e considerare trascurabile alcuni comportamenti opportunistici dei lavoratori.

Da qui le politiche attive del lavoro contrapposte a quelle passive, quelle attive favoriscono la domanda e l’offerta di lavoro. Un grande economista Inglese , WILLIMS BEVERIGD che gli valse il titolo di lord, nel 1942 dimostrò che il mercato del lavoro, anche, in periodi di recessione non ha la capacità di coprire tutti i posti vacanti, questo deriva da una serie di motivazione che vanno dalla mancanza di qualifiche professionali all’incapacità degli attori di incontrarsi, alla distanza geografica di chi offre un determinato lavoro e chi lo cerca. Oggi qualcuno obbietterà che con la rete questo viene risolto, invece non è così, possiamo avere portali pieni di curriculum, ma questo non basta, perchè chi assume ha bisogno di conoscere il candidato, altri pensano di avere le qualità di quel lavoro invece non c’è l’hanno. Beverigd dimostrò che nonostante la mancanza del lavoro ci saranno posti che non saranno mai occupati. Però, sarebbe possibile se la scuola le università siano in piena simbiosi con il mondo del lavoro tanto da creare le professionalità che servono al mercato del lavoro. Le Università , invece, non possono essere tutte centri di eccellenza della ricerca, questo è possibile solo per i grandi atenei, mentre i piccoli dovrebbero formare con le facoltà triennali figure immediatamente spendibile nel mondo del lavoro.  

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