Portavoce di un’appassionata invettiva contro il suo secolo, la sua decadenza morale, civile, religiosa e sociale, Karl incarna una declinazione pericolosa dell’io titanico dello Sturm und Drang: scegliendo di diventare capo di una banda di masnadieri, Karl si propone come il paladino di una presunta giustizia che agisce però fuori dalla legge: come ha scritto Hegel nella sua Estetica, “offeso dall’ordine esistente e dagli uomini che abusano della potenza di esso” Karl esce dall’ambito della legalità “si fa restauratore del diritto ed autonomo vendicatore del torto, dell’iniquità e dell’oppressione. Ma questa vendetta privata può condurre solo al delitto, in quanto racchiude in sé il torto che vuole distruggere”.
I masnadieri sono la tragedia del titano presuntuoso e arrogante che vuole vivere senza la legge e senza Dio, al quale si sostituisce in un delirio di onnipotenza; tale figura, che ricorda il Prometeo goethiano, non riesce però a portare a termine la sua missione e fallisce tragicamente; il genio stürmeriano prende coscienza dell’impossibilità di una libertà intesa come un’esistenza condotta fuori dalla legalità, dal rispetto dell’uomo e della sua dignità; ma l’opera mostra anche il pericolo di una razionalità che, sganciata da valori etici e religiosi, può divenire strumento di sterminio; in questo modo Schiller mostra quanto sia illusorio il nesso fra amore e ragione su cui si era basato l’ottimismo illuminista. La riflessione sulla costruzione di un umanesimo che nasca da ideali di verità, bellezza e giustizia fu alla base del sodalizio artistico che più di dieci anni dopo il successo de I masnadieri si sarebbe instaurato a Weimar tra Friedrich Schiller e Johann Wolfgang von Goethe. Su questo sfondo Schiller non venne mai meno al convincimento che il teatro debba svolgere il ruolo di istituzione morale. Significativo è che fin dalla prefazione de I Masnadieri, il giovane drammaturgo si augura che il suo pubblico: ”non ammiri il poeta, ma stimi in me l’uomo giusto”.
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